piacevole aspetto del giovane che l’amava, il cui nome era Pasquino, forte disiderando e non attentando di far piú avanti, filando, ad ogni passo di lana filata che al fuso avvolgeva mille sospiri piú cocenti che fuoco gittava, di colui ricordandosi che a filar gliele aveva data. Quegli, dall’altra parte, molto sollecito divenuto che ben si filasse la lana del suo maestro, quasi quella sola che la Simona filava, e non alcuna altra, tutta la tela dovesse compiere, lei piú spesso che l’altre sollecitava. Per che, l’un sollecitando ed all’altra giovando d’esser sollecitata, avvenne che, l’un piú d’ardir prendendo che aver non solea e l’altra molta della paura e della vergogna cacciando che d’avere era usata, insieme a’ piacer comuni si congiunsono; li quali tanto all’una parte ed all’altra aggradirono, che, non che l’un dall’altro aspettasse d’essere invitato a ciò, anzi a dovervi essere si faceva incontro l’uno all’altro invitando. E cosí questo lor piacer continuando d’un giorno in uno altro e sempre piú nel continuare accendendosi, avvenne che Pasquino disse alla Simona che del tutto egli voleva che ella trovasse modo di poter venire ad un giardino lá dove egli menarla voleva, acciò che quivi piú ad agio e con men sospetto potessero essere insieme. La Simona disse che le piaceva, e dato a vedere al padre, una domenica dopo mangiare, che andar voleva alla perdonanza a San Gallo, con una sua compagna chiamata la Lagina al giardino statole da Pasquino insegnato se n’andò, dove lui insieme con un suo compagno che Puccino avea nome, ma era chiamato lo Stramba, trovò: e quivi, fatto uno amorazzo nuovo tra lo Stramba e la Lagina, essi a far de’ lor piaceri in una parte del giardin si raccolsero, e lo Stramba e la Lagina lasciarono in un’altra. Era in quella parte del giardino dove Pasquino e la Simona andati se n’erano, un grandissimo e bel cesto di salvia; a piè della quale postisi a sedere e gran pezza sollazzatisi insieme, e molto avendo ragionato d’una merenda che in quello orto ad animo riposato intendevan di fare, Pasquino, al gran cesto della salvia rivolto, di quella colse una foglia e con essa s’incominciò a stropicciare i denti e le gengie, dicendo che la salvia molto bene gli nettava d’ogni cosa che sopra essi rimasa