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novella sesta 315

L’Andreuola, piú di morte che di vita disiderosa, conosciuta la famiglia della signoria, francamente disse: — Io conosco chi voi siete e so che il volermi fuggire niente monterebbe; io son presta di venir con voi davanti alla signoria, e che ciò sia di raccontarle: ma niun di voi sia ardito di toccarmi, se io obediente vi sono, né da questo corpo alcuna cosa rimuovere, se da me non vuole essere accusato. — Per che, senza essere da alcun tócca, con tutto il corpo di Gabriotto n’andò in palagio; la qual cosa il podestá sentendo, si levò, e lei nella camera avendo, di ciò che intervenuto era s’informò: e fatto da certi medici riguardare se con veleno o altramenti fosse stato il buono uomo ucciso, tutti affermarono del no, ma che alcuna posta vicina al cuore gli s’era rotta, che affogato l’avea. Il quale, ciò udendo e sentendo costei in piccola cosa esser nocente, s’ingegnò di mostrar di donarle quello che vender non le potea, e disse, dove ella a’ suoi piaceri acconsentirsi volesse, la libererebbe. Ma non valendo quelle parole, oltre ad ogni convenevolezza volle usar la forza: ma l’Andreuola, da sdegno accesa e divenuta fortissima, virilmente si difese, lui con villane parole ed altiere ributtando indietro. Ma venuto il dí chiaro e queste cose essendo a messer Negro contate, dolente a morte, con molti de’ suoi amici a palagio n’andò, e quivi, d’ogni cosa dal podestá informato, dolendosi domandò che la figliuola gli fosse renduta. Il podestá, volendosi prima accusare egli della forza che fare l’avea voluta, che egli da lei accusato fosse, lodando prima la giovane e la sua costanza, per approvar quella venne a dir ciò che fatto avea; per la qual cosa, veggendola di tanta buona fermezza, sommo amore l’avea posto, e dove a grado a lui, che suo padre era, ed a lei fosse, nonostante che marito avesse avuto di bassa condizione, volentieri per sua donna la sposerebbe. In questo tempo che costoro cosí parlavano, l’Andreuola venne in cospetto del padre e piagnendo gli si gittò innanzi, e disse: — Padre mio, io non credo che bisogni che io l’istoria del mio ardire e della mia sciagura vi racconti, ché son certa che udita l’avete e sapetela; e per ciò quanto piú posso, umilmente perdono vi domando del fallo mio, cioè