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novella quarta 303

Gerbino, e del suo valore e della potenza dubitando, venendo il tempo che mandare ne la dovea, al re Guiglielmo mandò significando ciò che fare intendeva, e che sicurato da lui che né dal Gerbino né da altri per lui in ciò impedito sarebbe, lo ’ntendeva di fare. Il re Guiglielmo, che vecchio signore era né dello ’nnamoramento del Gerbino aveva alcuna cosa sentita, non imaginandosi che per questo addomandata fosse tal sicurtá, liberamente la concedette ed in segno di ciò mandò al re di Tunisi un suo guanto. Il quale, poi che la sicurtá ricevuta ebbe, fece una grandissima e bella nave nel porto di Cartagine apprestare, e fornirla di ciò che bisogno aveva a chi sú vi doveva andare, ed ornarla ed acconciarla, per sú mandarvi la figliuola in Granata: né altro aspettava che tempo. La giovane donna, che tutto questo sapeva e vedeva, occultamente un suo servidore mandò a Palermo ed imposegli che il bel Gerbino da sua parte salutasse e gli dicesse come ella infra pochi dí era per andarne in Granata; per che ora si parrebbe se cosí fosse valente uomo come si diceva e se cotanto l’amasse quanto piú volte significato l’avea. Costui, a cui imposta fu, ottimamente fe’ l’ambasciata, ed a Tunisi ritornossi. Gerbino, questo udendo, e sappiendo che il re Guiglielmo suo avolo data avea la sicurtá al re di Tunisi, non sapeva che farsi: ma pur, da amor sospinto, avendo le parole della donna intese e per non parer vile, andatosene a Messina, quivi prestamente fece due galee sottili armare, e messivi sú di valenti uomini, con esse sopra la Sardigna n’andò, avvisando quindi dovere la nave della donna passare. Né fu di lungi l’effetto al suo avviso, per ciò che pochi dí quivi fu stato, che la nave con poco vento non guari lontana al luogo dove aspettandola riposto s’era, sopravvenne. La qual veggendo Gerbino, a’ suoi compagni disse: — Signori, se voi cosí valorosi siete come io vi tengo, niuno di voi senza aver sentito o sentire amore credo che sia, senza il quale, sí come io meco medesimo estimo, niun mortal può alcuna vertú o bene in sé avere; e se innamorati stati siete o siete, leggèr cosa vi fia comprendere il mio disio. Io amo: Amor m’indusse a darvi la