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novella terza | 295 |
ubidirvi ne racconterò una di tre, li quali igualmente mal capitarono, poco del loro amore essendo goduti. — E cosí detto, incominciò:
Giovani donne, sí come voi apertamente potete conoscere, ogni vizio può in gravissima noia tornar di colui che l’usa e molte volte d’altrui; e tra gli altri che con piú abbandonate redine ne’ nostri pericoli ne trasporta, mi pare che l’ira sia quello; la quale niuna altra cosa è che un movimento subito ed inconsiderato, da sentita tristizia sospinto, il quale, ogni ragion cacciata e gli occhi della mente avendo di tenebre offuscati, in ferventissimo furore accende l’anima nostra. E come che questo sovente negli uomini avvenga, e piú in uno che in uno altro, nondimeno giá con maggior danni s’è nelle donne veduto, per ciò che piú leggermente in quelle s’accende, ed árdevi con fiamma piú chiara e con meno rattenimento le sospigne. Né è di ciò maraviglia: per ciò che, se ragguardar vorremo, vedremo che il suo fuoco di sua natura piú tosto nelle leggère e morbide cose s’apprende che nelle dure e piú gravanti; e noi pur siamo, non l’abbiano gli uomini a male, piú dilicate che essi non sono, e molto piú mobili. Laonde, veggendoci naturalmente a ciò inchinevoli, ed appresso ragguardato come la nostra mansuetudine e benignitá sia di gran riposo e di piacere agli uomini co’ quali a costumare abbiamo, e cosí l’ira ed il furore essere di gran noia e di pericolo, acciò che da quella con piú forte petto ci guardiamo, l’amor di tre giovani e d’altrettante donne, come di sopra dissi, per l’ira d’una di loro di felice essere divenuto infelicissimo intendo con la mia novella mostrarvi.
Marsilia, sí come voi sapete, è in Provenza, sopra la marina posta, antica e nobilissima cittá, e giá fu di ricchi uomini e di gran mercatanti piú copiosa che oggi non si vede; tra’ quali ne fu un chiamato N’Arnald Civada, uomo di nazione infima ma di chiara fede e leal mercatante, senza misura di possessioni e di denari ricco, il quale d’una sua donna avea piú figliuoli, de’ quali tre n’erano femine, ed eran di tempo maggiori che gli altri che maschi erano. Delle quali le due, nate ad un corpo, erano d’etá di quindici anni, la terza avea quattordici; né altro