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286 giornata quarta


Pampinea, a sé sentendo il comandamento venuto, piú per la sua affezione conobbe l’animo delle compagne che quello del re per le sue parole, e per ciò, piú disposta a dovere alquanto ricrear loro che a dovere, fuori che del comandamento solo, il re contentare, a dire una novella, senza uscir del proposto, da ridere si dispose, e cominciò:

Usano i volgari un cosí fatto proverbio: «Chi è reo, e buono è tenuto, può fare il male e non è creduto»; il quale ampia materia a ciò che m’è stato proposto mi presta di favellare, ed ancora a dimostrare quanta e quale sia l’ipocresia de’ religiosi, li quali co’ panni larghi e lunghi e co’ visi artificialmente pallidi e con le voci umili e mansuete nel domandar l’altrui, ed altissime e rubeste in mordere negli altri li loro medesimi vizi e nel mostrar, sé per tôrre ed altri per lor donare venire a salvazione, ed oltre a ciò, non come uomini che il paradiso abbiano a procacciare come noi, ma quasi come possessori e signori di quello danti a ciaschedun che muore, secondo la quantitá de’ denari loro lasciata da lui, piú e meno eccellente luogo, con questo prima se medesimi, se cosí credono, e poscia coloro che in ciò alle loro parole dan fede sforzansi d’ingannare. De’ quali se quanto si convenisse fosse licito a me dimostrare, tosto dichiarirei a molti semplici quello che nelle lor cappe larghissime tengon nascoso. Ma ora fosse piacere di Dio che cosí delle loro bugie a tutti intervenisse come ad un frate minore, non miga giovane, ma di quelli che de’ maggior cassesi era tenuto a Vinegia; del quale sommamente mi piace di raccontare, per alquanto gli animi vostri pieni di compassione per la morte di Ghismunda forse con risa e con piacer rilevare.

Fu adunque, valorose donne, in Imola uno uomo di scellerata vita e di corrotta il quale fu chiamato Berto della Massa, le cui vituperose opere molto dagl’imolesi conosciute a tanto il recarono, che, non che la bugia, ma la veritá non era in Imola chi gli credesse; per che, accorgendosi quivi piú le sue gherminelle non aver luogo, come disperato, a Vinegia, d’ogni bruttura ricevitrice, si trasmutò, e quivi pensò di trovare altra