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novella prima 279

erano, senza accorgersi di Tancredi; e quando tempo lor parve discesi del letto, Guiscardo se ne tornò nella grotta ed ella s’uscí della camera. Della quale Tancredi, ancora che vecchio fosse, da una finestra di quella si calò nel giardino e senza essere da alcun veduto, dolente a morte, alla sua camera si tornò. E per ordine da lui dato, all’uscir dello spiraglio, la seguente notte in sul primo sonno, Guiscardo, cosí come era nel vestimento del cuoio impacciato, fu preso da due e segretamente a Tancredi menato; il quale, come il vide, quasi piagnendo disse: — Guiscardo, la mia benignitá verso te non avea meritato l’oltraggio e la vergogna la quale nelle mie cose fatta m’hai, sí come io oggi vidi con gli occhi miei. — Al quale Guiscardo niuna altra cosa disse se non questo: — Amor può troppo piú che né voi né io possiamo. — Comandò adunque Tancredi che egli chetamente in alcuna camera di lá entro guardato fosse; e cosí fu fatto. Venuto il dí seguente, non sappiendo Ghismunda nulla di queste cose, avendo seco Tancredi varie e diverse novitá pensate, appresso mangiare, secondo la sua usanza nella camera n’andò della figliuola, dove fattalasi chiamare e serratosi dentro con lei, piagnendo le cominciò a dire: — Ghismunda, parendomi conoscere la tua vertú e la tua onestá, mai non mi sarebbe potuto cader nell’animo, quantunque mi fosse stato detto, se io co’ miei occhi non l’avessi veduto, che tu di sottoporti ad alcuno uomo, se tuo marito stato non fosse, avessi, non che fatto, ma pur pensato; di che io in questo poco di rimanente di vita che la mia vecchiezza mi serba sempre sarò dolente di ciò ricordandomi. Ed or volesse Iddio che, poi che a tanta disonestá conducerti dovevi, avessi preso uomo che alla tua nobiltá decevole fosse stato: ma tra tanti che nella mia corte n’usano eleggesti Guiscardo, giovane di vilissima condizione, nella nostra corte quasi come per Dio da piccol fanciullo infino a questo dí allevato; di che tu in grandissimo affanno d’animo messo m’hai, non sappiendo io che partito di te mi pigliare. Di Guiscardo, il quale io feci stanotte prendere quando dello spiraglio usciva, ed hollo in prigione, ho io giá meco preso partito che farne; ma di te, sallo Iddio che io non so che