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novella prima | 275 |
ella cade, piú giú andar non può che il luogo onde levata fu. E se mai con tutta la mia forza a dovervi in cosa alcuna compiacere mi disposi, ora piú che mai mi vi disporrò, per ciò che io conosco che altra cosa dir non potrá alcuno con ragione, se non che gli altri ed io, che v’amiamo, naturalmente operiamo; alle cui leggi voler contrastare troppo gran forze bisognano, e spesse volte non solamente invano, ma con grandissimo danno del faticante s’adoperano. Le quali forze io confesso che io non l’ho né d’averle disidero in questo, e se io l’avessi, piú tosto ad altrui le presterei che io per me l’adoperassi. Per che tacciansi i morditori, e se essi riscaldar non si possono, assiderati si vivano, e ne’ lor diletti, anzi appetiti corrotti, standosi, me nel mio questa brieve vita che posta n’è lascino stare. Ma da ritornare è, per ciò che assai vagati siamo, o belle donne, lá onde ci dipartimmo, e l’ordine cominciato seguire.
Cacciata aveva il sole del cielo giá ogni stella e della terra l’umida ombra della notte, quando Filostrato, levatosi, tutta la sua brigata fece levare, e nel bel giardino andatisene, quivi s’incominciarono a diportare: e l’ora del mangiar venuta, quivi desinarono dove la passata sera cenato aveano. E da dormire, essendo il sole nella sua maggior sommitá, levati, nella maniera usata vicini alla bella fonte si posero a sedere, lá dove Filostrato alla Fiammetta comandò che principio desse alle novelle; la quale, senza piú aspettare che detto le fosse, donnescamente cosí cominciò:
[I]
Tancredi, prenze di Salerno, uccide l’amante della figliuola e mandale il cuore in una coppa d’oro; la quale, messa sopra esso acqua avvelenata, quella si bee, e cosí muore.
Fiera materia di ragionare n’ha oggi il nostro re data, pensando che, dove per rallegrarci venuti siamo, ci convenga raccontar l’altrui lagrime, le quali dir non si possono che chi le