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258 giornata terza

[X]

Alibech divien romita, a cui Rustico monaco insegna rimettere il diavolo in inferno; poi, quindi tolta, diventa moglie di Neerbale.


Dioneo, che diligentemente la novella della reina ascoltata avea, sentendo che finita era e che a lui solo restava il dire, senza comandamento aspettare, sorridendo cominciò a dire:

Graziose donne, voi non udiste forse mai dire come il diavolo si rimetta in inferno, e per ciò, senza partirmi guari dall’effetto che voi tutto questo di ragionato avete, il vi vo’ dire: forse ancora ne potrete guadagnar l’anima avendolo apparato, e potrete anche conoscere che, quantunque Amore i lieti palagi e le morbide camere piú volentieri che le povere capanne abiti, non è egli per ciò che alcuna volta esso tra’ folti boschi e tra le rigide alpi e nelle diserte spelunche non faccia le sue forze sentire; il perché comprender si può, alla sua potenza essere ogni cosa suggetta.

Adunque, venendo al fatto, dico che nella cittá di Capsa in Barberia fu giá un ricchissimo uomo il quale tra alcuni altri suoi figliuoli aveva una figlioletta bella e gentilesca il cui nome fu Alibech, la quale, non essendo cristiana ed udendo a molti cristiani che nella cittá erano molto commendare la cristiana fede ed il servire a Dio, un dí ne domandò alcuno, in che maniera e con meno impedimento a Dio si potesse servire. Il quale le rispose che coloro meglio a Dio servivano che piú dalle cose del mondo fuggivano, come coloro facevano che nelle solitudini de’ diserti di Tebaida andati se n’erano. La giovane, che semplicissima era e d’etá forse di quattordici anni, non mossa da ordinato disidèro ma da un cotal fanciullesco appetito, senza altro farne ad alcuna persona sentire, la seguente mattina ad andare verso il diserto di Tebaida nascosamente tutta sola si mise: e con gran fatica di lei, durando l’appetito, dopo alcun dí a quelle solitudini pervenne, e veduta di lontano una casetta, a quella n’andò, dove un santo uomo trovò sopra l’uscio, il quale, maravigliandosi di