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novella nona 249

La tornata di Ferondo e le sue parole, credendo quasi ogni uom che risuscitato fosse, accrebbero senza fine la fama della santitá dell’abate: e Ferondo, che per la sua gelosia molte battiture ricevute avea, sí come di quella guerito, secondo la promessa dell’abate fatta alla donna, piú geloso non fu per innanzi; di che la donna contenta, onestamente, come soleva, con lui si visse, sí veramente che, quando acconciamente poteva, volentieri col santo abate si ritrovava, il quale bene e diligentemente ne’ suoi maggior bisogni servita l’avea.

[IX]

Giletta di Nerbona guerisce il re di Francia d’una fistola; domanda per marito Beltramo di Rossiglione, il quale, contra sua voglia sposatala, a Firenze se ne va per isdegno, dove vagheggiando una giovane, in persona di lei Giletta giacque con lui ed ébbene due figliuoli; per che egli poi, avutala cara, per moglie la tenne.


Restava, non volendo il suo privilegio rompere a Dioneo, solamente a dire alla reina, con ciò fosse cosa che giá finita fosse la novella di Lauretta; per la qual cosa essa, senza aspettar d’esser sollecitata da’ suoi, cosí tutta vaga cominciò a parlare:

Chi dirá novella omai che bella paia, avendo quella di Lauretta udita? Certo vantaggio ne fu che ella non fu la primiera, ché poche poi dell’altre ne sarebbon piaciute, e cosí spero che avverrá di quelle che per questa giornata sono a raccontare. Ma pure, chente che ella si sia, quella che alla proposta materia m’occorre vi conterò.

Nel reame di Francia fu un gentile uomo il quale chiamato fu Isnardo, conte di Rossiglione, il quale, per ciò che poco sano era, sempre appresso di sé teneva un medico chiamato maestro Gerardo di Nerbona. Aveva il detto conte un suo figliuol piccolo senza piú, chiamato Beltramo, il quale era bellissimo e piacevole, e con lui altri fanciulli della sua etá s’allevavano, tra’ quali era una fanciulla del detto medico chiamata Giletta, la quale infinito amore ed oltre al convenevole della