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210 giornata terza

era, e forse avendo cagion di ridere, rispose: — Come non sapete voi quello che questo vuol dire? Ora, io ve l’ho udito dire mille volte: «Chi la sera non cena, tutta notte si dimena». — Credettesi frate Puccio che il digiunare le fosse cagione di non potere dormire, e per ciò per lo letto si dimenasse; per che egli di buona fede disse: — Donna, io t’ho ben detto: «Non digiunare»; ma poi che pur l’hai voluto fare, non pensare a ciò; pensa di riposarti: tu dái tali volte per lo letto, che tu fai dimenar ciò che c’è. — Disse allora la donna: — Non ve ne caglia no; io so ben ciò che io mi fo; fate pur ben voi, ché io farò bene io se io potrò. — Stettesi adunque cheto frate Puccio e rimise mano a’ suoi paternostri, e la donna e messer lo monaco da questa notte innanzi, fatto in altra parte della casa ordinare un letto, in quello quanto durava il tempo della penitenza di frate Puccio con grandissima festa si stavano: e ad una ora il monaco se n’andava e la donna al suo letto tornava, e poco stante dalla penitenza a quello se ne venía frate Puccio. Continuando adunque in cosí fatta maniera il frate la penitenza e la donna col monaco il suo diletto, piú volte motteggiando disse con lui: — Tu fai fare la penitenza a frate Puccio, per la quale noi abbiamo guadagnato il paradiso. — E parendo molto bene stare alla donna, sí s’avvezzò a’ cibi del monaco, che, essendo dal marito lungamente stata tenuta in dieta, ancora che la penitenza di frate Puccio si consumasse, modo trovò di cibarsi in altra parte con lui, e con discrezione lungamente ne prese il suo piacere. Di che, acciò che l’ultime parole non sieno discordanti alle prime, avvenne che, dove frate Puccio faccendo penitenza si credette mettere in paradiso, egli vi mise il monaco, che da andarvi tosto gli avea mostrata la via, e la moglie, che con lui in gran necessitá vivea di ciò che messer lo monaco, come misericordioso, gran divizia le fece.