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novella terza | 197 |
scoperto, ancora che intera vendetta n’avesse presa, non iscemata ma molto cresciuta n’avrebbe la sua vergogna e contaminata l’onestá della donna sua. Coloro che quella parola udirono si maravigliarono e lungamente tra sé esaminarono che avesse il re voluto per quella dire, ma niuno ve ne fu che la ’ntendesse, se non colui solo a cui toccava. Il quale, sí come savio, mai, vivente il re, non la scoperse, né piú la sua vita in sí fatto atto commise alla fortuna.
[III]
Sotto spezie di confessione e di purissima coscienza una donna innamorata d’un giovane induce un solenne frate, senza avvedersene egli, a dar modo che il piacer di lei avesse intero effetto.
Taceva giá Pampinea, e l’ardire e la cautela del pallafreniere era da’ piú di loro stata lodata, e similmente il senno del re, quando la reina, a Filomena voltatasi, le ’mpose il seguitare; per la qual cosa Filomena vezzosamente cosí incominciò a parlare:
Io intendo di raccontarvi una beffa che fu da dovero fatta da una bella donna ad un solenne religioso, tanto piú ad ogni secolar da piacere, quanto essi, il piú stoltissimi ed uomini di nuove maniere e costumi, si credono piú che gli altri in ogni cosa valere e sapere, dove essi di gran lunga sono da molto meno, sí come quegli che, per viltá d’animo non avendo argomento, come gli altri uomini, di civanzarsi, si rifuggono dove aver possano da mangiar, come il porco. La quale, o piacevoli donne, io racconterò non solamente per seguire l’ordine imposto, ma ancora per farvi accorte che eziandio i religiosi, a’ quali noi, oltre modo credule, troppa fede prestiamo, possono essere e sono alcuna volta, non che dagli uomini, ma da alcuna di noi cautamente beffati.
Nella nostra cittá, piú d’inganni piena che d’amore o di fede, non sono ancora molti anni passati, fu una gentil donna di bellezze ornata e di costumi, d’altezza d’animo e di sottili