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novella decima 171

il quale, forse credendosi con quelle medesime opere sodisfare alla moglie che egli faceva agli studi, essendo molto ricco, con non piccola sollecitudine cercò d’avere e bella e giovane donna per moglie, dove e l’uno e l’altro, se cosí avesse saputo consigliar sé come altrui faceva, doveva fuggire. E quello gli venne fatto, per ciò che messer Lotto Gualandi per moglie gli diede una sua figliuola il cui nome era Bartolomea, una delle piú belle e delle piú vaghe giovani di Pisa, come che poche ve n’abbiano che lucertole verminare non paiano. La quale il giudice menata con grandissima festa a casa sua, e fatte le nozze belle e magnifiche, pur per la prima notte incappò una volta per consumare il matrimonio a toccarla, e di poco fallò che egli quella una non fece tavola; il quale poi la mattina, sí come colui che era magro e secco e di poco spirito, convenne che con vernaccia e con confetti ristorativi e con altri argomenti nel mondo si ritornasse. Or questo messer lo giudice, fatto migliore estimatore delle sue forze che stato non era avanti, incominciò ad insegnare a costei un calendaro buono da fanciulli che stanno a leggere, e forse giá stato fatto a Ravenna: per ciò che, secondo che egli le mostrava, niun dí era che non solamente una festa, ma molte non ne fossero; a reverenza delle quali per diverse cagioni mostrava, l’uomo e la donna doversi astenere da cosí fatti congiugnimenti, sopra questi aggiugnendo digiuni e quattro tempora e vigilie d’apostoli e di mille altri santi e venerdí e sabati, e la domenica del Signore, e la quaresima tutta, e certi punti della luna ed altre eccezion molte, avvisandosi forse che cosí feria far si convenisse con le donne nel letto, come egli faceva talvolta piatendo alle civili. E questa maniera, non senza grave malinconia della donna, a cui forse una volta ne toccava il mese, ed appena, lungamente tenne, sempre guardandola bene, non forse alcuno altro le ’nsegnasse conoscere li dí da lavorare, come egli l’aveva insegnate le feste. Avvenne che, essendo il caldo grande, a messer Riccardo venne disidèro d’andarsi a diportare ad un suo luogo molto bello vicino a Montenero, e quivi, per prendere aere, dimorarsi alcun giorno. E con seco menò la sua