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Quantunque volte, graziosissime donne, meco pensando riguardo quanto voi naturalmente tutte pietose siate, tante conosco che la presente opera al vostro giudicio avrá grave e noioso principio, sí come è la dolorosa ricordazione della pestifera mortalitá trapassata, universalmente a ciascuno che quella vide o altramenti conobbe dannosa e lagrimevole molto, la quale essa porta nella sua fronte. Ma non voglio per ciò che questo di piú avanti leggere vi spaventi, quasi sempre tra’ sospiri e tra le lagrime leggendo dobbiate trapassare. Questo orrido cominciamento vi fia non altramenti che a’ camminanti una montagna aspra ed erta, appresso la quale un bellissimo piano e dilettevole sia riposto, il quale tanto piú viene loro piacevole quanto maggiore è stata del salire e dello scendere la gravezza. E sí come la stremitá dell’allegrezza il dolore occupa, cosí le miserie da sopravvegnente letizia sono terminate. A questa brieve noia; dico brieve in quanto in poche lettere si contiene; seguirá prestamente la dolcezza ed il piacere il quale io v’ho davanti promesso e che forse da cosí fatto inizio non sarebbe, se non si dicesse, aspettato. E nel vero, se io potuto avessi onestamente per altra parte menarvi a quello che io disidero che per cosí aspro sentiero come fia questo, io l’avrei volentier fatto: ma per ciò che qual fosse la cagione per che le cose che appresso si leggeranno avvenissono, non si poteva senza questa rammemorazion dimostrare, quasi da necessitá costretto a scriverle mi conduco.
Dico adunque che giá erano gli anni della fruttifera Incarnazione del Figliuolo di Dio al numero pervenuti di milletrecento-