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tessero tornargli le armi collegate de’ Cristiani: e perciò gli cadde in animo indirizzare a Niccolò V una lettera che, per timore o per isperanza, potesse farlo andare più rattenuto nel bandirgli la croce. Imperocchè, come a’ leggitori è facile scorgere, il Turco, premesso tutti quei titoli di che largheggiava l’alterigia turchesca, dei suoi diritti alla città di Roma, delle sue forze fa grandissima jattanza, e dice alcuna cosa della sua probabile conversione alla fede di Cristo. Ed infatti non doveva sembrare discorso d’impostore quello di Maometto, come se volesse menare in parole il Pontefice; imperocchè, cessata la strage ed i furori della soldatesca, Maometto trattò con meno aspro governo le cose de’ Cristiani, sì che di onori abbondò verso Giorgio Scolario da lui chiamato a reggere la chiesa de’ Cristiani in Costantinopoli.

Papa Niccolò non si mostra gran fatto atterrito della lettera del Turco, ma per una fidanza nelle proprie e nelle forze de’ Principi Cristiani usa d’una foggia di scrivere, che doveva chiarire ilConquistatore, che egli attendevalo a piè fermo.

E poichè come principe diè argomento di fermezza, come padre de’ fedeli si volge amorevole a Maometto per tornarlo alla via della verità.

Gregorio Castellano, nominato nel Codice, che scrisse la lettera in arabico e poi la portò in volgare, è quel medesimo, come a noi pare, del quale fa menzione il Tiraboschi parlando dei