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472 lettera del gran turco

allegramente ho accolto non per bisogno, ma per la mia giusta impresa, e per dare loro sicurtà che ne’ loro bisogni piglino sicurtà di noi, prima i tre regali vecchi d’Egitto, di senno naturale non inferiore all’antico Salomone, chiascheduno con sessantamila arcieri, e il re di Cappadocia con centomila cavalieri, e il famosissimo Ciamberlano, e il re di Media con trecentomila combattenti; e se io mi credessi che le vettovaglie bastassero a vivere, la terra ad abitare, i fiumi a bere, io non lascerei il re di Dibras, di Getulia, di Barachei, e di quante potenzie sono nell’ Africa che io non menassi meco. Sicchè adunque, o sommo Sacerdote de’ Cristani, sii conoscente della dignità nella quale t’ha posto Iddio per sua somma clemenza, e, mentre che hai tempo a provedere, rimuoviti dal tuo non savio incetto, nè essere cagione della perdita di tante anime; e che la nostra città di Roma qualche volta finisca la sua calamità e ritorni sotto il governo de’ suoi antichi. La quale io intendo più che mai di ricchezze asiatiche riadornare, e i suoi templi di carbonchi di zaffiri, di topazj; delle quali cose la nostra Asia, madre di ricchezze, è copiosissima. E poichè per