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capitolo lxxxxi. 391

sanno; e così lasciò Nerone ignorante e in paura. La qual cosa benchè paia grandissima in femmina, molto più maravigliosa parrà, se sarà considerata la incostanzia dei nobili uomini di quella medesima congiurazione, i quali si sapevano da altri che da Epitare: non fu tra quegli nessuno di sì robusta gioventù, che comportasse udire i nomi dei tormenti per la propria salute, che quella femmina comportò per la salute altrui: anzi incontanente confessarono quello che sapevano della congiurazione; nè niuno perdonò nè a sè nẻ agli amici, avendo quella gloriosa femmina. perdonato a tutti se non a sè. Io crederei che la natura delle cose errasse alcuna volta1, quando ella congiugne l’anima ai corpi degli uomini, cioè avere infonduta quella in un petto d’una femmina che credeva aver posto in un uomo. Ma perchè Iddio è datore di siffatte cose, è inconveniente credere che egli fusse negligente circa alla sua opera. Adunque è da pensare, che noi ricevemo ogni cosa, ma lo effetto dimostra se noi serviamo

  1. Cod. Cass. etrasse alcuna cosa. Test. Lat. aberrare crederem naturam rerum aliquando.