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320 emilia, cap. lxxii.

quello, che colui, lo quale con gloriosa virtù avea soggiogato i re e le forte nazioni, soggiacesse all’amore di una serva. E non parve assai a quella santissima donna, che quello peccato stesse nascosto, vivendo Scipione; ma, essendo egli già morto, a torre via la memoria di quella infamia, se per alcun modo o alcuna parte potesse espiare quello peccato, tolse via la cagione. E acciocchè quella la quale avea dato diletto allo marito, non potesse essere rimproverata d’alcuno rimprovero di servitù, e non si mischiasse con alcuno per non dicevole lascivia, per la quale potesse invilire l’appetito del magnifico marito; primieramente diede libertà a quella con liberale animo, poi la maritò a un suo famiglio. O quanto si deve levare al cielo con sacre lodi quella donna! Da una parte con giusto e paziente animo patì le ingiurie, e dall’altra1 pagò lo debito del marito verso la serva sua compagna di letto: la qual cosa quanto noi vediamo avvenire più rade volte,

  1. Test. Lat. hinc æquo atque tacito patiens injurias animo: inde liberalem in rivalem sibi ancillulam defuncti viri persolvens debitum.