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capitolo xxiv. 125

Roma a Tarquinio Prisco, e portogli nove libri, de’ qnali ne arse tre in sua presenza, non volendogliene dare il pregio che ella gli domandava; e domandogli il dì seguente quel pregio che prima aveva voluto di nove, affermandogli che se non glielo desse subito, arderebbene tre, e lo dì seguente, gli altri tre; di che egli diede lo dimandato pregio. Gli quali libri dappoi conservati furono trovati tutte contenere le fatiche de’ Romani. Per la qual cagione dappoi i Romani servarono quegli con gran diligenza, e secondo che richiedeva lo bisogno di consigliare di cose future, correvano a quegli come ad un tempio. E non è infatti cosa a credere che questa e Deifoba fosse una medesima cosa: e quella, abbiamo letto, che morì in Cicilia, e in quel luogo per lungo tempo fu mostrata la sepoltura per gli abitanti. Dunque per istudio e divina grazia diventiamo famosi, la quale non è negata1 ad alcuno che se ne faccia degno; e se noi stiamo pigri e accidiosi dopo nostra natura, eziandio vecchi andiamo igno-

  1. Cod. Cass. non e legata ad alcuno. Test. Lat. quae nemini... denegata sunt.