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CAPITOLO XXXVII.




Della medesima Fortuna, e di Cesare, e dove essendo fu morto da’ senatori.


Vedevavisi appresso quanto e quale
     Già fosse stato Cesare, tenendo
     In prima in Roma offizio imperïale.
Oh quanto poco questo possedendo
     5Il vedea glorïar, che quivi a lato
     Tra’ senatori il vedeva morendo,
Lui avendo essi tutto pertugiato
     Co’ loro stili, e quegli era piggiore,
     Cui egli aveva già più onorato.
10E simile la rabbia e ’l gran furore
     Di Neron, si vedeva terminare
     In breve tempo con molto dolore.
Risplendevavi ancora, ciò mi pare,
     Ciò che fe’ Giuba mai, e ivi appresso
     15Dopo ’l salir, il suo tristo calare.
Tarquin, Porsenna, e Lentulo dop’esso,
     Ovidio, Tullio, Amilcar si vedieno,
     E altri molti, i quali io con espresso