Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
149 |
CAPITOLO XXXVII.
Della medesima Fortuna, e di Cesare, e dove essendo fu morto da’ senatori.
Vedevavisi appresso quanto e quale
Già fosse stato Cesare, tenendo
In prima in Roma offizio imperïale.
Oh quanto poco questo possedendo
5Il vedea glorïar, che quivi a lato
Tra’ senatori il vedeva morendo,
Lui avendo essi tutto pertugiato
Co’ loro stili, e quegli era piggiore,
Cui egli aveva già più onorato.
10E simile la rabbia e ’l gran furore
Di Neron, si vedeva terminare
In breve tempo con molto dolore.
Risplendevavi ancora, ciò mi pare,
Ciò che fe’ Giuba mai, e ivi appresso
15Dopo ’l salir, il suo tristo calare.
Tarquin, Porsenna, e Lentulo dop’esso,
Ovidio, Tullio, Amilcar si vedieno,
E altri molti, i quali io con espresso