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CAPITOLO XXXV. 143

Or vedi ancora a mano a man da quanti
     50Uccelli il corpo di Nabuc è roso,
     Temendo il figlio, che per tempo avanti
Surgendo del sepulcro poderoso
     Non ritornasse, e lui cacciasse fore
     Del regno dove vivea glorïoso.
55Ivi ve’ tu ancora il gran romore,
     Che fanno le figliuole di Piëro
     Voltate in piche per grieve dolore?
Veggon senza lor pro ora quel vero,
     Ch’a lor superbamente s’occultava
     60Nel lor parer fallace e non intero.
E quivi appresso costei mi mostrava
     Cartagine in rovina, tutta accesa
     D’ardente fuoco che la divampava.
Riguardar quella con sembianza offesa
     65Mi mostrò quella Donna Scipïone,
     Al cui valor non potè far difesa.
Seguiva con non poca ammirazione
     Annibale turbato nello aspetto,
     O di quella o di sua distruzïone.
70In abito dolente e con sospetto
     Quivi Asdrubale ancora vi vedea
     Col capo basso mirandosi il petto.
Là similmente veder mi parea
     La distruzion della antica cittate
     75Di Fiesole, la qual tutta cadea.
Ivi pareva la gran crudeltate,
     Che ’l Pistolese pian sostenne pieno
     Di Catellino, le cui opre spietate