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CAPITOLO XXXV.
Della medesima Fortuna, dove pone Alessandro vinto il mondo, esser poi alla morte, non poter niente.
Tu puoi, ricominciò la Donna a dire,
Veder qui Alessandro, ch’assalio
Il mondo tutto, per velen morire,
E non esser però il suo disio
5Pien, ma più che giammai esser ardente,
E ’n tale ardor, come vedi, morio:
Lo qual fu quanto alcuno altro possente.
Nè però averia questa lasciato,
Che se fosse vivuto, che vilmente
10Lui non avesse in infimo voltato
Della sua rota, ma quel che costei
Non fe’, morte adempiè nel nominato.
E poi appresso puoi veder colei
Che pugnò con Pallade come stolta,
15Ch’ancor del fallo suo par dica, omei.
Come la vedi ancor quivi ravvolta
Ne’ suoi stracci, in ragniuol trasmutata
Fu dalla Dea, e dal laccio disciolta.