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CAPITOLO XXIX. 119

Nol so, ma credo che di paradiso
     50Ella venisse, come io già dissi,
     Tanta ha biltà, valore e dolce riso.
O felice colui (con gli occhi fissi
     A lei allora a dire incominciai)
     Cui tu del tuo piacer degno coprissi:
55Ringraziato possa esser sempre mai
     Il tuo fattore, siccom’egli è degno,
     Veggendo le bellezze che tu hai.
Se un’altra volta il suo beato ingegno
     Ponesse a far sì bella creatura,
     60Credo che lieto il doloroso regno
E’ metterebbe in gioia fuor misura;
     Che i santi scenderiano alla tua luce,
     E que’ d’abisso verrieno in altura.
Con questa gioia, credo, si conduce
     65Ciascun di questi, ch’è pien della grazia
     Di quel (ricominciai) che qui è duce.
Oh quanto è glorïoso chi si spazia
     Ne’ suoi disiri medïante questo,
     Se con vile atto tosto non sen sazia.
70Non è occulto ciò, poscia che presto,
     Chi più ha pena, più oltre s’invia
     A volerne sentir, benchè molesto,
Dolendo sè, altrui dica che sia:
     Dunque se questo martíre è söave,
     75La pace che ne segue chente fia?
O quanti e quali già il tenner grave,
     Ch’avriano il collo a via maggior gravezza
     Posto, sapendo il dolce che in sè have.