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68 | Giovanni Boccacci |
E questo d’ogni doglia è medicina.
Né posso, a mio giudicio, dir con vero1
Che per cosa terrena esser felice
Io cerchi, ma d’effigie alta e divina.
XXIV.
Quello spirto vezzoso, che nel core
Mi misero i begli occhi di costei,
Parla sovente con meco di lei
Leggiadramente, et simile d’Amore.
Et poi del suo animoso fervore5
Una speranza crea ne’ pensier miei,
Che sì lieto mi fa, ch’io mi potrei
Beato dir s’ella stesse molt’hore.
Ma un tremor, da non so che paura
Nato, la scaccia et rompe in mezzo il porto,10
Ch’aver preso credea, di mia salute;
Et veggio aperto ch’alcun ben non dura
Lunga stagione in questo viver corto,
Quantunque possa natural virtute.
XXV.
Quante fiate per ventura il loco
Veggio là dov’io fui da Amor sì preso2,