Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
60 | Giovanni Boccacci |
Lasciandovi, non posson le pupille
Soffrir talor1 per l’acute postille2
Ch’accese vengon più del suo valore.
Onde, contr’a mia voglia, s’io non voglio
Lei riguardando perder di vederla,10
In altra parte mi convien voltare.
O grieve caso, ond’io forte mi doglio:
Colei, cui cerco di veder poterla
Sempre, non posso poi lei riguardare!
XIII.
Il folgor de’ begli occhi, el qual m’avampa
Il cor qualor io gli riguardo fiso,
M’è tanto nella mente, ov’io l’ò miso
Spesso, segnato con eterna stampa,
Ch’invan, caro signor3, ogn’altra vampa5
Ver me saetti del tuo paradiso:
Questo m’allegra, questo m’à conquiso,
Questo m’uccide, questo anchor mi scampa.
Dunque, ti prego, al tuo arco perdona,
Et bastiti per una avermi preso,10
Ch’assai è gran legame questo et forte.
Et mentre ’l tuo valor la sua persona
Farà più bella, sì come testeso,
Mai non mi scioglierà se non la morte.
- ↑ «Le mie pupille non posson talora sopportare quell’amorosa luce, il cui splendore mandò per i miei occhi le faville che ardevano innumerevoli dentro al cuore, lasciandovi l’immagine di lei e la luce d’Amore, l’una come donna e l’altro come signore...»
- ↑ Postille, secondo il noto esempio dantesco (Par., III, 13) significa «imagini.»
- ↑ Amore.