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56 | Giovanni Boccacci |
Io che, seguendo lei, vedeva farsi
Da tutte parti incontro a rimirarla10
Gente, vedea come miracol nuovo.
Ogni spirito mioFonte/commento: editio maior in me destarsi
Sentiva, et con amor di commendarla
Sazio non vedea mai il ben ch’io provo1.
VII.
Chi non crederrà assai agevolmente,
S’al canto d’Arion venne il delphino
Faccendo sé al suo legno vicino,
Al suo comando presto et ubidiente,
Che, solcando costei il mar sovente5
In breve barca, nel tempo più fino,
Alla voce del suo canto divino
Molti ne venghin desiosamente?
Et quas’ a cciò da Neptunno mandati
Circondan quella, e ogni cosa sinestra10
Cacciando indrieto, et onde et tempestate.
O orecchi felici, o cuor beati,
- ↑ Intendo: «mai non vedeva sazio il piacere ch’io provo di cantarne amorosamente le lodi.»
p. 170, n.), la Fiammetta ricorda anche, nel medesimo luogo, di aver avuto spesso compagno ‘in simili diletti’ il suo Panfilo: ciò dal presente sonetto ci è attestato chiaramente nel v. 9. Ma dall’ammetter questo allo stabilire senz’altro che la poesia appartiene al periodo dell’amore contraccambiato, perché il Boccacci non poteva seguire la donna amata ‘se non quando era ben addentro nelle costei grazie’ (cfr. A. Della Torre, La giovinezza di G. B., p. 286 e n. 1), corre un bel tratto; ed io non credo che sia prudente avventurarsi ad una recisa affermazione.