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20 | Giovanni Boccacci |
Più volte s’agirò il monte intorno,
Né saetta né corde ci valea
Che prender si potesse lo liocorno.15
Fior Curiale, che d’ira dentro ardea,
L’altra Fior1 prese, e vestilla di bianco,
E disse: — fa che tu in sul monte stea
Sanza paura, e con aspecto franco
Con questa fune lega l’animale,20
Che verrà a tte quando sarà stanco.
Né dubitar di lui, ché non fa male
Per tempo alcuno ad alcuna pulcella,
Ma stassi con lei, tanto glie ne cale2 — .
Salivi Fior, sì come disse quella,25
E, per ispatio lungo lui cacciato,
Quivi aspectò tanto che venne ad ella.
Temecte quella prima, fin ch’allato
- ↑ La Canovara.
- ↑ Questa favolosa credenza sul liocorno era diffusissima nel medio evo, e se ne potrebbero addurre innumerevoli testimonianze. Per tenermi ad una sola, riprodurrò quel che dell’‘unicorno’ si dice nel Bestiario toscano: ‘sua propria natura si è che, quando elli vede una pulcella virgene, sì li vene sì grande vilimento della virginitade, che se lli adormenta a piede, e in questa maniera lo prende lo cacciatore e occide’ (edizione Mackenzie-Garver, negli Studj romanzi pubbl. dalla Società Filologica Romana, VIII, p. 41; la stampa à ulimento in luogo di vilimento, ch’è indicato in nota come variante del cod. Chigiano). Questa ‘proprietà’ del liocorno servì, com’è noto, di paragone nella poesia d’amore; così Pallamidesse di Firenze: ‘... Fa come a la donzella, Ch’à l’unicorno preso, Ch’en sua ballia è auciso Ed e’ more per ella’ (Monaci, Crestomazia ital., n. 84, 43-46); Chiaro Davanzati: ‘Come lo lunicorno che si prende A la donzella per verginitate’ (ivi, n. 111, I, 1); il Mare amoroso: ‘et nolli fa male, Sichome l’unichorno a la pulzella’ (ivi, 112, 24-25); ecc.