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Rime 181

     Altro mar ti conviene, altro pileggio1
     Cercar che ’l mio, da te fatto sì strano.
     Ben puo’ vedere ch’io son fatto sano,5
     Né tua mercé più non disio né chieggio;
     E quanto più ti sforzi a farmi peggio,
     Tanto da te più mi truovo lontano.
Spenta è la fiamma, che m’accese e arse,
     Fuggiti sono i mia giovini anni,10
     E tu co’ modi tuo’ m’à’ fatto saggio.
     Dunque le tue saette invano sparse
     Ricogli omai e servati l’inganni
     Ad uccel nuovo2, ch’io provati l’aggio3.


O ch’Amor sia, o sia lucida stella,
     Te nel mio meditar forma sovente
     Leggiadra vaga splendida e piacente,
     Qual viva esser solevi4, e così bella.
     Quivi con teco l’anima favella,5
     Ode e risponde e tanta gioia sente,
     Che la gloria del ciel crede niente,
     Quantunque grande, per rispetto a quella.
Ma, com’ la viva imagine si fugge
     E rompesi il pensier che la tenea,10
     E che ’n terra se’ cener mi ricorda,
     Torna il dolor che mi consuma e strugge,


  1. La reminiscenza dantesca (Par., XXIII, 67), del pari che lo accenno alla fiamma del v. 9, sono indizi rivelatori della paternità del sonetto: pileggio, usato anche altrove (in prosa) dal nostro, significa «tragitto marino, traversata.»
  2. «Ad un inesperto.»
  3. Il poeta si congeda per sempre da Amore, dopo la lunga esperienza fatta di lui.
  4. È un sonetto in morte della donna amata.