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Rime | 167 |
Nulla ne piace a me, quando davanti5
Non veggio nell’aspetto mio sedere1
L’angelico bel viso, al cu’ piacere
Vive contento il cuor de’ sua sembianti2.
. . . . . . . . . . . . . .
La volontà più volte è corsa al core
Per discoprire a coste’ le mia pene:
La boce a mezo il petto si ritiene,
La lingua tace e perde ogni sentore3.
Di nuovo il cor anchor prende valore5
Per voler dire4, e pur fra due mi tiene: —
Sì dirai, non dirai; non5, sì conviene,
Se fedel servo se’ tanto d’Amore — .
Po’ che la lingua e ’l cor perde l’ardire,
Dite, occhi, vo’, lagrimando, parole,10
Facendo certa lei sol quant’io l’amo,
E discovrite el mio tanto6 martire:
El suo bel viso splende più che ’l sole,
E quanto più la fuggo, più la bramo.
Gli occhi, che m’ànno il cor rubato e messo
Nella prigion d’Amore e lì legato,
Disio e Gelosia ànno mandato
- ↑ «Stare, dimorare.»
- ↑ I manoscritti attribuiscono a questo son. una chiusa assolutamente irreconciliabile, per concetto e stile, con la prima parte, e che perciò si rivela pertinente ad un’altra poesia. L’idea fondamentale delle quartine ricorre anche in XVI, 7-8 e XXVIII, 6-8.
- ↑ «Sentimento.»
- ↑ «Parlare.»
- ↑ «Non conviene.»
- ↑ «Tanto grande.»