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138 Giovanni Boccacci

     Per che temo che mai alle mia ali
     Non verran penne, che a tanta pace
     Levar mi possan dal mondo bugiardo1.


CI.


Che cerchi, stolto2? che d’intorno miri?
     Cenere sparta son le membra, in ch’io
     Piacqui già tanto al tuo caldo desio3
     Et mossi il pecto ai pietosi sospiri.
     Perché non lievi gli occhi agli alti giri?5
     Io dico al ciel, anz’al regno di dio,
     Dove più bel che mai il viso mio
     Veder potrai, et pien de’ tuoi desiri4 — .
Così con meco talora ragiona
     La bella donna, vedendo cercarmi10
     Quel che già mai quaggiù veder non deggio5.
     Ma come, raveduto6, m’abandona,
     Piangendo penso come qui impennarmi7
     Possa, et volar al suo beato seggio.


  1. «Che, levandomi dal pensiero delle cose mondane, mi lascino alla meditazione delle celesti.»
  2. Parla la Fiammetta. ‘È la stessa mossa e anche il medesimo concetto del sonetto Che fai? che pensi? che pur dietro guardi? del Petrarca’ (Zingarelli).
  3. Cfr. Dante, Purg., XXXI, 49-51.
  4. «Pieno di desideri di te.»
  5. Il suo corpo.
  6. Dall’illusione di trovar viva la Fiammetta.
  7. «Mettermi le penne alle ali.»