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Rime 131

Ma più ch’altri mi par matto colui
     Ch’a femina, qual vogli1, il suo honore,10
     Sua libertà et la vita commette.
     Elle donne non son, ma doglia altrui,
     Senza pietà senza fé senz’amore,
     Liete del mal di chi più lor credette2.


XC.


Era ’l tuo ingegno divenuto tardo,
     Et la memoria confusa et smarrita,
     Et l’anima gentil quas’invilita
     Driet’al riposo del mondo bugiardo;
     Quando t’accese ’l mio vago riguardo5
     Et suscitò la virtù tramortita,
     Tanto ch’io t’ò condocto ove s’invita
     Al glorioso fin ciascun gagliardo.
In te sta el venir, se l’intellecto
     Aggiungi, driet’a me, che la corona10
     Ti serbo delle frondi tanto amate3.
     Che farai? vienne! — mi dice nel pecto
     La donna per la quale Amor mi sprona4:
     Et io mi sto, tant’è la mia viltate.


  1. «Qualunque sia.»
  2. E nel Corbaccio: ‘La femmina è animale imperfetto, passionato da mille passioni spiacevoli e abominevoli pure a ricordarsene, non che a ragionare’, con tutto quel che segue. Dall’affinità delle idee si ricava che l’invettiva ed il sonetto appartengono alla stessa situazione sentimentale.
  3. L’alloro.
  4. Ed è, qui, la Poesia, come comporta la promessa della laurea. La stessa figurazione è rappresentata come una nimpha, e ancora in atto d’invitare a sé lo scrittore, nel sonetto seguente.