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130 | Giovanni Boccacci |
Disfrenati cavai, tori armentari1,
Rabbiosi can, tempeste et discendenti
Folgori, tuoni, impetuosi venti,5
Ruine incendii scherani et corsari,
Discorridori armati et sagittari
Soglion fuggir le paurose genti.
Ma io, che non son tal2, perché discerno
Com’horribil fuggirmi a chi non torna,10
Fuggita, se non vede dipartirme?
Forse son io el diavol de l’inferno?
Et crederrel s’io avessi le corna,
Poi che così a costei veggio fuggirme!
LXXXIX.
Poco senn’à chi crede la fortuna
O con prieghi o con lacrime piegare,
Et molto men chi crede lei fermare
Con sermo3, con ingegno o arte alcuna.
Poco senn’à chi crede atar4 la luna5
A discorrer il ciel per suo sonare5,
Et molto men chi ne crede portare,
Morendo, seco l’or che qui raguna.
- ↑ «Che vivono in armento.»
- ↑ «Non sono nessuna di queste cose paurose.»
- ↑ «Sermone, discorso.»
- ↑ «Aiutare.»
- ↑ Di questo errore popolare degli antichi si confessa in colpa la Fiammetta nel racconto omonimo: ‘E ricordami ch’io, della lentezza del corso di lei (la luna) crucciandomi, con vani suoni, seguendo gli antichi errori, aiutai il corso di lei alla sua rotondità pervenire’ (III).