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Rime 127

     O mi rimetta nella tua ritorte:
     Avanti andrò, finché venga la morte,
     Pascendo l’herbe per gli luoghi alpestri.
Tu m’ài il cibo il sonno et il riposo
     E il parer huom fra gli altri et il pensiero10
     Tolto, che io di me aver devrei:
     Et àmi1 facto del vulgo noioso
     Favola divenire; ond’io dispero
     Mai poter ritornar quel ch’io vorrei2.


LXXXIV.


Sì fuor d’ogni sentier, nel qual ragione
     Passeggi o stia, seguendo l’appetito,
     È il mio folle pensier del tutto uscito,
     Che paura nol può né riprensione
     Né anchora colei che n’è cagione,5
     Avendo il suo bel viso assai seguito,
     Ritrar dal corso, nel quale smarrito
     Corro all’ultima mia destructione.
Così fa, lasso, negli anni migliori
     Il creder troppo al fervente desio10
     Et l’invescarsi in le reti d’amore3;
     Che, quando vuol, non può poi degli errori
     Disvilupparsi il misero, che dio
     Et sé offende, et vive male et muore.


  1. «Mi ài.»
  2. «Dispero di poter tornare oggetto di considerazione presso i miei cittadini.»
  3. Il poeta allude alle lunghe cure da lui spese in gioventù nel servigio d’Amore, specialmente per la Fiammetta.