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112 Giovanni Boccacci

     Veggendo me per altri esser lasciato;
     Et morir non vorre’, ché, trapassato,5
     Più non vedre’ il bel vis’amoroso,
     Per cui piango, invidioso
     Di chi l’à fatto suo et me ne spoglia.


LXXVII.


Il fior, che ’l valor perde
     Da che già cade1, mai non si rinverde.
Perduto ò il valor mio,
     Et mia bellezza non serà com’era:
     Però ch’è ’l van disio,5
     Chi perde il tempo et acquistarlo spera2;
     Io non son primavera,
     Che ogni anno si rinova et fassi verde.
Io maledico l’hora
     Che ’l tempo giovenil fuggir lassai;10
     Fantina3 essendo anchora,
     Esser abbandonata non pensai:
     Non se rallegra mai
     Chi ’l primo fior del primo amore perde.
Ballata, assai mi duole15
     Che a me non lice di metterti in canto4;
     Tu sai che ’l mio cor vole


  1. La gioventù.
  2. «È vano il desio di colui che perde il tempo ecc.»
  3. «Fanciulla.»
  4. «Di musicarti.» Se il Boccacci non era in grado di far questo, è però probabile che altri lo facesse per lui, come avvenne di altre sue poesie (cfr. p. 111, n. 1).