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98 Giovanni Boccacci

Et àvvi Vener sì piena licenza,
     Che spess’advien che tal Lucretia vienvi,10
     Che torna Cleopatra allo suo hostello1;
     Et io lo so, et di quinci ò temenza,
     Non con la donna mia sì facti sienvi,
     Che ’l pecto l’aprino et intrinsi in quello.


LXVI.


Benché si fosse, per la tuo’ partita,
     L’alta speranza, la qual io prendea


    si curino, rade volte o non mai vi s’andò con mente sana, che con sana mente se ne tornasse, non che le inferme sanità s’acquistassero... Né è, in verità, di ciò maraviglia: ché, per quel che già molte volte a me paruto ne sia, quivi eziandio le più oneste donne, posposta alquanto la donnesca vergogna, con più licenza in qualunque cosa mi pareva che convenissero, che in altra parte; né io sola di cotale opinione sono, ma quasi tutti quei che già vi sono costumati. Quivi la maggior parte del tempo ozioso si trapassa, e, qualora più è messo in esercizio, si è in amorosi ragionamenti, o dalle donne per sé o mescolate coi giovani; quivi non s’usano vivande se non dilicate e vini per antichità nobilissimi, potenti, nonché ad eccitare la dormente Venere, ma di risuscitare la morta in ciascuno uomo;... quivi i marini liti et i graziosi giardini e ciascun’altra parte sempre di varie feste, di nuovi giuochi, di bellissime danze, d’infiniti stromenti, d’amorose canzoni, così da giovani come da donne fatte sonate e cantate, risuonano’.

  1. Certo il Boccacci s’è ricordato qui d’un incisivo epigramma di Marziale, in cui è detto, della casta Laevina, che ‘Dum modo Lucrino modo se permittit Averno, Et dum baianis saepe fovetur aquis, Incidit in flammas, iuvenemque secuta, relieto Coniuge, Penelope venit, abit Helene’ (I, 63). Ai nomi di Penelope e di Elena il nostro à sostituito due della tradizione romana, e quindi più noti ai suoi contemporanei.