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86 Giovanni Boccacci

     Quantunque picciol lume gli conduce5
     Il desio d’esso, al qual seguir disposti,
     Dove diletto cercan, ne’ sopposti
     Lacci sottentron drieto al falso duce1.
Lasso, così sovente m’addiviene
     Che, dove io sento dal voler chiamarmi10
     Drieto a’ begli occhi et falsi di costei,
     Presto vi corro et da nuove catene
     Legar mi veggio, onde discaprestarmi2,
     Stolto, speravo per rimirar lei.


L.


L’obscure fami e i pelagi tyrrheni3,
     E pigri stagni et li fiumi correnti,
     Mille coltella et gl’incendii cocenti,
     Le travi e i lacci e ’nfiniti veneni,
     L’horribil rupi et massi, e’ boschi pieni5
     Di crude fere et di malvagie genti,
     Vegnon4, chiamate da’ sospir dolenti,
     Et mille modi da morire obsceni.


  1. A chiarimento di questo passo riporterò quanto dice Piero de’ Crescenzi nel libro X del suo Trattato della agricoltura, secondo l’antico volgarizzamento: ‘Anche si pigliano [gli uccelli] a fornuolo; questo i contadini usano nelle notti molto oscure: ànno una fiaccola, la quale un porta chinata, presso alle siepi verdi nelle quali dormono gli uccelli, i quali, quando si destano, vengono allo splendor del fuoco, e due altri con due mazzuole... gli ammazzano’ (cap. 28; ediz. di Bologna, 1784, II, p. 335).
  2. Discapestrarmi, «sciogliermi.»
  3. Del mar Tirreno. Il sonetto si rivela per quest’accenno stesso composto in Napoli.
  4. Innanzi alla mente.