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82 | Giovanni Boccacci |
Vegga d’argento, ond’io or m’innamoro,
Et crespo farsi il viso di costei,
Et cispi1 gli occhi bei, che tanto rei5
Son per me lasso, et il caro thesoro
Del sen ritrarsi, e il suo canto sonoro2
Divenir roco sì com’io vorrei:
Ogni suspiro, ogni dolore et pianto
Si farà riso, et pur sarò sì prompto,10
Ch’io dirò: donna, Amor non t’à più cara;
Più non adesca il tuo soave canto;
Pallid’ et viza, non sei più in conto:
Ma pianger poi l’essere stata avara.
XLV.
O iniquo huomo, o servo disleale,
Di che ti duol? di che vai lagrimando?
Di che Amor et me vai biasimando
Quasi cagion del tuo noioso male?
Qual arco apers’io mai o quale strale5
Ti saettai? quai prieghi o dove o quando
Ti fur facti per me, che, me amando,
Mi dessi il cor, di cui sì or ti cale?
Pregastù me et sconiurasti Amore
Ch’io t’avessi per mio: qual dunque inganno,10
Qual crudeltà t’è facta? del mio onoreFonte/commento: editio maior
Mi cal più troppo che del tuo affanno. —
Così Fiammetta par talor nel core
Mi dica; ond’io mi doglio et òmmi il danno.