Pagina:Boccaccio-Caccia e Rime-(1914).djvu/109


Rime 79

     Né dormir né speranza alcun riposo
     Posson prestare al mio crudel dolore:
     Così m’affligge Amor fin la dimane1.


XL.


Chi nel suo pianger dice che ventura
     Adversa gli è al suo maggior disio,
     Et chi l’appone scioccamente a dio,
     Et chi accusa Amore et chi la dura
     Condiction della donna che, pura,5
     Forse non sente l’appetito rio,
     Et chi del cielo fa ramarichio,
     Non conoscendo sé, di sua sciagura.
Ma io, dolente, solo agli occhi miei
     Ogni mia doglia appongo, che fur porte10
     All’amorosa fiamma che mi sface.
     Se stati fosser chiusi, anchor potrei
     Signor di me contrastar alla morte,
     La qual or chiamo per mia dolce pace.


XLI.


Cesare, poi ch’ebbe, per tradimento
     De l’egitian duttor2, l’orrate chiome3,


  1. Lo sviluppo di questo sonetto è identico a quello del XXXVII: in ambedue, le quartine illustrano l’effetto di determinate condizioni naturali (il freddo nel XXXVII, la notte nel XXXIX) sulle altre creature viventi, al quale le terzine contrappongono l’effetto opposto che si verifica nel poeta innamorato.
  2. Tolomeo Dionisio.
  3. Di Pompeo.