Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
74 | Giovanni Boccacci |
Quasi di ciò che io ò già contato5
Del suo valor prendendo intera fede,
Lieta più preme il cor che la possede,
Indi1 sperando nome più pregiato.
Ond’io stimo che sia da mutar verso,
Pur ch’Amor mel consenta, et biasimare10
Ciò che io scioccamente già lodai.
Forse diverrà bianco il color perso2,
Et per lo non ben dir3 potrò impetrare,
Per adventura, fine alli mia guai.
XXXIII.
Come in sul fonte fu preso Narciso
Da sé da sé4, così costei specchiando
Sé, sé à presa dolcemente amando.
E tanto vaga se stessa vagheggia,
Che, ingelosita della sua figura,5
À di chiunque la mira paura,
Temendo sé a sé non esser tolta.
Quello ch’ella di me pensi, colui
Sel pensi che in sé conosce altrui5.
A me ne par, per quel ch’appar di fore,10
Qual fu tra Phebo e Daphne, odio et amore.
- ↑ «Da questa crudeltà.»
- ↑ «Scuro.» Tutta la frase significa che forse le sorti del poeta potranno mutarsi da cattive in buone.
- ↑ Corrisponde al biasimare del v. 10.
- ↑ Il raddoppiamento importa rinforzamento del concetto. Frequente nella poesia amorosa provenzale e in quella italiana dei primi secoli è il ricordo, in ufficio di similitudine, della favola di Narciso.
- ↑ Colui che in sé conosce altrui è, naturalmente, Dio.