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nota 313

stampa delle lettere giovanili, la necessitá di non oscurare il cursus m’impose speciali adattamenti nell’uso dei segni d’interpunzione, visto che soltanto con questi è possibile rappresentare le pause di delimitazione delle varie clausole secondarie e principali1; la medesima necessitá vuole che sia invitato il lettore a tener conto di certe accentuazioni anormali o non comuni2.

Premesse queste avvertenze, è da passare ad osservazioni particolari sul testo di ciascuna epistola.

I-IV. — In ZL si trovano trascritte dal Bocc. medesimo in quest’ordine: I, III e II una dopo l’altra in poco piú di cinque colonne (cc. 51 r-52 r), la IV nelle due facciate intere della c. 65. Esse furono inserite nel ms. non a guisa di minute prima dell’invio, ma come copie in pulito da serbare a spedizione avvenuta3; con ciò si spiega perché in due il sonetto accodatovi («caliopeus sermo» 11014 e 11464 sia stato interrotto dopo il



    me adottata (cfr. p. 317), ristabilisce il vel.; il terzo, creatióne octávi céli 11810, è un vel. normale; il quarto non ha ritmo; il quinto è egualmente esente da ritmo perché compreso in una citazione patristica.

  1. Per questa ragione in alcuni vocativi la virgola che dovrebbe precedere o quella che dovrebbe seguire è stata ommessa, considerando che la sua presenza avrebbe potuto ingenerare equivoco intorno al cursus; cosí una virg. dopo inclite princeps 10917 avrebbe sconvolto il tardus (princeps non pèrtraho), una virg. dopo o superi 11629 avrebbe distrutto il velox (súperi crèdidisset). In simili casi la pausa logica alla fine del vocativo è stata rappresentata con il punto esclamativo. Analogamente certi brevi incisi, che normalmente vorrebbero esser chiusi tra due virgole, hanno dovuto rinunziare all’una o all’altra, e viceversa qualche virg. è stata introdotta a segnare la finale di un piede dove non c’era bisogno dell’interpunzione, p. es. innanzi ad una congiunzione copulativa (cosí dopo il velox che termina con principatus 1091 fu posta la virg. benché segua ac).
  2. Tali: Épyri 1091, interlígat 11520 e pernècant 1131 (Parodi, p. 235 e n.; Sabbadini, Rendic., p. 325), cathafrónitus 11614 (pròsequens cáthafrònitus è un vel. col dattilo in luogo del secondo spondeo, cfr. qui, p. 312, n. 2; il Par. invece, accentuando cathafronitus, diede luogo ad un planus del tutto eccezionale), cathámitum 11615 (Par., p. 236), Damónem 12718, eufèmiam 11711 (Par., p. 238), Várronem 12817 (cfr. p. prec., n. 5; non è certissimo, ma d’altra parte il Par., p. 239, si piegò ad uno Stílbonis, di cui non c’è invero bisogno), retúlit 1234, Lycostráten 11325, ecc. È senza base, oltre ai giá sfatati adéram adérit, il deposuéris 12313 del Sabbadini (Rendic., p. 325).
  3. Cfr. Traversari, Le lett. autogr. cit., pp. 8-9 (esprime l’opinione che le epistole «ci si presentino nell’ordine cronologico con cui furono inviate, trascritte colá dall’autore, come in un copialettere, subito dopo averle composte»), e, meglio ancora, Sabbadini, Rendic., p. 322.
  4. Che l’espressione, affine alle altre «parvus et exoticus sermo, etc10910 e «brevi caliopeo sermone» 1125, designi un sonetto, fu visto dal Novati (Giorn. stor., XXV, p. 423, n. 3); cfr. anche Della Torre, La giovinezza di G. Bocc., pp. 206, 327, 337).