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158 epistolarum quae supersunt

Non è a me cotale animo; non mi mandò ancora cosí sotto la fortuna, benché il tuo Mecenate mi v’abbia voluto mandare. Tu mi potesti giá udir dire a lui che me non tiravano i pastorali de’ pontefici, non le propositure del pretorio, dal desiderio delle quali sono tirati molti con vana speranza ed in ciascuno vile servigio sono lungamente ritenuti. Oltre a ciò, non a me, come a molti, sozzo ed abominevole amore fa gli omeri d’Atlante nel comportare ogni disonesta cosa. A me è desiderio d’onesta vita e d’onore, al quale tolga Dio che per cosí abominevole sceleratezza io creda che si vada. Non adunque sono di vetro se, avendo io sostenute alquante cose da non dire, piú oltre sofferire non le potei. Io ti dirò un fatto d’un meccanico, e nostro cittadino, degno di memoria. Io so che tu conoscesti Bonaccorso scultore, uomo plebeo per origine e povero, per animo nobile e ricchissimo. Costui, chiamato da Ruberto re di Ierusalem e di Cicilia, venne a Napoli, ed in quella ora che egli approdò, non trattosi ancora gli sproni né l’uosa, menato fu nel conspetto del re: e da lui domandato de’ pregi d’alcune cose particulari all’arte sua ragguardanti, non sanza indegnazione d’animo modestamente rispuose, né prima dal conspetto del re fu rimosso, che, salito a cavallo, per l’orme sue si ritornò; e l’altro dí, essendo cercato, non fu trovato. Ma dopo pochi dí, con ciò fusse cosa che a Firenze fusse comparito, domandando quelli che mandato l’avevano che fusse cagione di sí subita tornata, disse lui avere estimato, sé essere suto mandato ad un re, non ad un mercatante: e, per mandare fuori l’indegnazione conceputa per la domanda del re, con brusche parole non temette la singularitá del suo artificio all’amplissima degnitá porre innanzi. E tu me figliuolo delle Muse chiami «di vetro», il quale sei mesi da uomo di molto minore degnitá sono con frasche di fanciullo straziato ed avviluppato? Ottimamente, per Dio! fece Bonaccorso, io vilmente feci lungamente sofferendo. Dici ancora che io sia subito, quasi ruinoso, e sanza consiglio sia venuto al partirmi, e fai te dimentico, affermando te non sapere la cagione d’esso. Duro è fare ricordevole colui che sé contro conscienzia fa dimentico. Oltre a tutti, tu solo fusti consapevole d’ogni mio consiglio, a te l’animo mio aprii tutto, a te i segreti del cuore mio manifestai, a te discernei ciò che io portava nel petto, e non solo una volta ma piú: e tu ora fingi di non sapere perché partito mi sia, e chiamimi «subito»? Ma che è? Io farò ciò che tu vuoi, poi che piú non posso essere ingannato. In gran parte