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254 il corbaccio

insino a qui la sua natura più che a te; ché, se non m’inganna il mio iudicio, quantunque tu abbi la barba molto fiorita e, di nere, candide sieno divenute le tempie tue, ed ella, pur nel mondo stata molti più anni che tu non se’, quantunque forse non l’abbia cosi bene adoperati, non le ha mutate. Per che, ragguagliando molto la prima cosa, nella quale tu se’ meglio di lei, con questa ultima, nella quale pare che essa sia meglio di te, essendo quella di mezzo del pari, dico che cosi tosto dovrebbe ella essersi fatta incontro a te ad amarti, come tu ti facesti incontro a lei. S’ella nol fece, vuo’ tu perciò per la sua sconvenevolezza consumarti? Ella, a buona ragione, ha più da rammaricarsi che non hai tu; per ciò che della sua sconvenevolezza ella perde, dove tu ne guadagni, se ben porrai mente a ogni cosa.

«Ma tu rificchi pur gli occhi della mente ad una cosa, della qual ti pare avere molto disavvantaggio da lei, e di che io niuna menzione feci, quando l’altre andai ragguagliando; e avvisi che quella sia la cagione per la quale tu schifato sii: cioè che a te pare che ella gentildonna sia, dove a te non pare essere cosi; il che presummendo che cosi fosse, non perciò saresti lasciato, se guardi a chi è il secondo Ansalone, che è cotanto nella sua grazia, e se a tutto appieno degli altri guardando verrai. Ma in ciò mi pare che tu erri, e gravemente; primieramente in ciò: che tu, lasciando il vero, seguiti l’opinione del popolazzo il quale sempre più alle cose apparenti, che alla verità di quelle, dirizza gli occhi. Ma non sai tu qual sia la vera gentilezza e quale la falsa? Non sai tu che cosa sia quella che faccia l’uomo gentile e qual sia quella che gentile esser nol faccia? Certo si ch’io so che tu’l sai; né niuno è si giovinetto nelle filosofiche scuole che non sappia noi da un medesimo padre e da una madre tutti avere i corpi, e l’anime tutte iguali e da uno medesimo creatore; né niuna cosa fa l’uomo gentile e l’altro villano, se non che, avendo ciascuno parimente il libero arbitrio a quello operare che più gli piacesse, colui che la virtù seguitò, fu detto gentile; e gli altri per contrario, seguendo i vizi, furono non gentili