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il corbaccio 251

discaro, ma carissimo il tuo riguardare. E, per ciò che esse di niuna cosa, che a loro pompa appartenga, contente sono, se nascosa dimora, volonterosa che all’altre femmine apparisca, te a dito mostrava, per dare a vedere a quelle, alle quali ti dimostrava, sé ancora essere da tenere bella e d’avere cara, poiché ancora trovava amadore, e massimamente te che se’ da tutti un gran conoscitore di forme di femmine reputato; per che lei mostrarti aresti veduto in onore di te, non in biasimo, essere stato fatto da lei. Ben potrebbe alcun altro dire il contrario: cioè che ella, per mostrarsi molto a Dio ritornata e avere del tutto la vita biasimevole, che piacere le soleva, abbandonata, te a dito avesse mostrato, dicendo: — Vedete il nimico di Dio quanto s’oppone alla mia salute; vedete cui egli m’ha ora parato dinanzi per farmi tornare a quello di che io del tutto intendeva, e intendo, di piú non seguire! — o forse con quelle medesime parole colle quali avea al suo amante le tue lettere mostrate. E altri direbbono che né l’uno né l’altro, né per l’una ragione né per l’altro fatto l’avesse; ma solamente per voglia di berlingare e di cinguettare, di che ella è vaghissima, si ben dire le pare, essendole venuta meno materia di dovere dire di sé alcuna gran bugia, per avere onde dirla, te dimostrava. Ma, qual che la cagion si fosse, ricorrere dovevi prestamente a quella infallibile veritá; cioè niuna femmina essere savia e perciò non potere saviamente adoperare. E, se riprensione in ciò cadeva, sopra te doveva degnamente cadere, si come colui che credevi, avendola alcuna volta guardata o portandole alcuno amore, quello aver fatto di lei, in sua vecchiezza, che né la natura, né forse i gastigamenti, aveano potuto nella sua giovanezza fare: cioè che ella savia fosse o alcuna cosa saviamente operasse. Tu adunque, non considerando né a te né a lei quello che dovevi, se cruccio grave n’avesti, cagione te ne fosti. —

«Ma, lasciamo stare l’essere le femmine cosí fiere, cosí vili, cosí orribili, cosí dispettose, come ricordato t’hanno le mie parole, e l’avere la lettera tua cosí fieramente palesata e te, per qualunque delle dette cagioni o per qualunque altra