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il corbaccio 219

mente adoperare si maravigliosamente li accendeva che, laudando divotamente colui che creata l’avea, a mettere in opera il bene acceso desiderio si disponeano. E di questo in lei non vanagloria, non superbia venia; ma in tanto la sua umiltá ne crescea che, per avventura, ebbe tanta forza che la incommutabile disposizione di Dio avacciò a mandare in terra il suo figliuolo, del quale ella fu madre. L’altre poche, che a questa reverendissima e veramente donna s’ingegnorono con tutta lor forza di somigliare, non solamente le mondane pompe non seguirono, ma le fuggirono con sommo studio; né si dipinsero per piú belle apparere nel cospetto degli uomini strani, ma le bellezze, loro dalla natura prestate, si disprezzarono, le celestiali aspettando. In luogo d’ira e di superbia, ebbero mansuetudine e umiltá; e la rabbiosa furia della carnale concupiscenza colla astinenzia mirabile domarono e vinsero, prestando maravigliosa pazienzia alle temporali avversitá e a’ martiri: delle quali cose servata l’anima loro immaculata, meritarono di divenire compagne a colei nella etterna gloria, la quale s’erano ingegnate nella mortai vita di somigliare. E, se onestamente si potesse accusare la natura, maestra delle cose, io direi che essa fieramente in cosí fatte donne peccato avesse, sottoponendo e nascondendo cosí grandi animi, cosí virili e costanti sotto cosí vili membra e sotto cosí vile sesso, come è il femmineo; perché, bene ragguardando chi quelle furono e chi queste sono, che nel numero di quelle si vogliono mescolare e in quelle essere annoverate e reverite, assai bene si vedrá mal confarsi l’una coll’altra, anzi essere del tutto l’una contraria dall’altra.

«Tacciasi adunque questa generazione prava e adultera né voglia il suo petto degli altrui meriti adornare; ché per certo le simili a quelle, che dette abbiamo, sono piú rade che le fenici; delle quali veramente se alcuna esce di schiera, tanto di piú onore è degna che alcuno uomo, quanto alla vittoria il miracolo è maggiore. Ma io non credo che in fatica d’onorarne alcuna per li suoi meriti, a’ nostri bisavoli non che a noi, bisognasse d’entrare: e prima spero si ritroveranno