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il corbaccio 203

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«A cui la domandata donna rispuose:

«— La terza, che siede in su quella panca, è colei di cui io vi parlo. —

«Dalla quale risposta io compresi ottimamente avere avvisato; e da quella ora avanti l’ho conosciuta. Io non mentirò:

come io vidi la sua statura e poi appresso alquanto al suo andare riguardai e un poco gli atti esteriori ebbi considerati, io presumetti, ma falsamente, non solamente che colui, al quale avea udito di lei parlare, dovesse avere detto il vero, ma che troppo piú ch’egli detto non avea ne dovesse essere di bene. E cosí, da falsa opinione vinto, subito mi senti’, come se dall’udite cose e dalla vista di lei si movesse, corrermi al cuore un fuoco, non altrimenti che faccia su per le cose unte la fiamma, e si fieramente riscaldarmi che, chi allora m’avesse riguardato nel viso, n’arebbe veduto manifesto segnale; e come che i segni, venuti nel viso per lo nuovo fuoco, che, come prima le parti superficiali andò leccando, cosí poi, nelle intrinsece trapassato, piú vivo divenne, ne se ne partissono, mai, se non dentro, crescer lo sentii.

«In questa guisa adunque, che raccontato ho, di lei, che mal per me fu veduta, preso fui, dandomi il suo aspetto pieno di falsitá, non senza artificiale maestria, speranza di futura mercede. —

Lo spirito, il quale queste cose, secondo il mio parere, non senza diletto ascoltate avea, giá me sentendo tacere, cosí mi cominciò a parlare:

— Assai bene m’hai dimostrato il come e la cagione del tuo esserti prima allacciato e come tu medesimo ti vestisti la catena alla gola, ch’ancor ti strigne. Ma non ti sia grave ancor manifestarmi se mai questo tuo amore le palesasti e come; che mi parve dianzi udire di sí; e il dirmi appresso se da lei avesti alcuna speranza che piú t’accendesse che il tuo medesimo desiderio primieramente avesse fatto. —

Al quale io rispuosi:

— Per ciò che io manifestamente conosco, se io celar tei volessi, io non potrei, si mi pare che tu il vero senta de’´