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190 il corbaccio

Per che essendo io in altissimo sonno legato, non parendo alla mia nimica fortuna che le bastassero le ingiurie fattemi nel mio vegghiare, ancora dormendo s’ingegnò di noiarmi; e davanti alla virtú fantastica, la quale il sonno non lega, diverse forme paratemi, avvenne che a me subitamente parve intrare in uno dilettevole e bello sentiero, tanto agli occhi miei e a ciascun altro mio senso piacevole quanto fosse alcun’altra cosa stata davanti da me veduta. Il luogo, dove questo si fosse, non mi parea conoscere; né di conoscerlo mi parea curare poscia che dilettevole il sentia. Ed è il vero che, quanto piú avanti per esso andava, tanto più parea che di piacere mi porgesse; per che da quello si fermò una speranza la quale mi parea che, se io al fine del sentiero pervenissi, letizia inestimabile e mai da me non sentita mi s’apparecchiava. Onde pareva che in me s’accendesse un disio si fervente di pervenire a quello che, non solamente i miei piedi si moveano a correre per pervenirvi, ma mi parea che mi fossero da non usitata natura prestate velocissime ali; colle quali, mentre a me parea piú rattamente volare, mi parve il cammino cambiare qualitá; e, dove erbe verdi e vari fiori nell’entrata m’erano paruti vedere, ora sassi, ortiche e triboli e cardi e simili cose mi parea trovare; sanza che, indietro volgendomi, seguir mi vidi a una nebbia si folta e si oscura quanto niuna se ne vedesse giá mai; la quale subitamente intorniatomi, non solamente il mio valore impedio, ma quasi d’ogni speranza del promesso bene all’entrare del cammino mi fece cadere.

E cosí quivi immobile e sospeso trovandomi, mi parve per lungo spazio dimorare avanti che io, pure attorno guardandomi, potessi conoscere dov’io fossi. Ma pure, dopo lungo spazio assottigliatasi la nebbia, come che ’l cielo per la sopravvenuta notte oscurato fosse, conobbi me dal mio volato essere stato lasciato in una solitudine diserta, aspra e fiera, piena di salvatiche piante, di pruni e di bronchi, senza sentieri o via alcuna, e intorniata da montagne asprissime e si alte che colla loro sommitá pareva toccassono il cielo. Né per