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il corbaccio 189

piissimo padre de’ lumi mandato, quasi dagli occhi della mente ogni oscuritá levatami, in tanto la vista di quelli aguzzati rendé chiara che, a me stesso manifestamente scoprendosi il mio errore, non solamente, riguardandolo, me ne vergognai, ma, da compunzione debita mosso, ne lagrimai e me medesimo biasimai forte, e da meno ch’io non arbitrava mi reputai. Ma, rasciutte dal viso le misere e le pietose lagrime e confortatomi a dovere la solitaria dimoranza lasciare, la quale per certo offende molto ciascuno il quale della mente è men che sano, della mia camera con faccia assai, secondo la malvagia disposizione trapassata, serena uscii. E, cercando, trovai compagnia assai utile alle mie passioni: colla quale ritrovandomi e in dilettevole parte ricolti, secondo la nostra antica usanza, primieramente cominciammo a ragionare con ordine assai discreto delle volubili operazioni della fortuna, della sciocchezza di coloro, i quali quella con tutto il desiderio abbracciano, e della pazzia d’essi medesimi, i quali, si come in cosa stabile, le loro speranze messe fermano. E di quinci alle perpetue cose della natura venimmo e al maraviglioso ordine e laudevole di quelle, tanto meno da tutti con ammirazion riguardate, quanto piú tra noi, senza considerarle, le veggiamo usitate. E da queste passammo alle divine, delle quali appena le particelle estreme si possono da’ piú sublimi ingegni comprendere, tanto d’eccellenzia trapassano gl’intelletti de’ mortali. E intorno a cosí alti e cosí eccelsi e cosí nobili ragionamenti il rimanente di quel di consumammo; da’ quali la sopravvegnente notte ci costrinse a rimanere a quella volta: e, quasi da divino cibo pasciuto, levatomi e ogni mia passata noia avendo cacciata e quasi dimenticata, consolato alla mia usitata camera mi ridussi. E poiché l’usitato cibo assai sobriamente ebbi preso, non potendo la dolcezza de’ passati ragionamenti dimenticare, grandissima parte di quella notte, non senza incomparabile piacere, tutti meco repetendoli, trapassai; e, dopo lungo andare, vincendo la naturale opportunitá il mio piacere, soavemente m’addormentai; e con tanta piú forza si mise ne’ miei sentimenti il sonno, quanto piú gli avea il dolce pensiere trapassato di tempo tolto.