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188 il corbaccio

piaccia, che lo ’mpiccarti per la gola il piú tosto che tu puoi. E non vedi tu tutto ’l giorno le persone che hanno alcuno in odio, per diradicarlo e levarlo di terra, mettere le lor cose e la propria vita in avventura, contra le leggi umane e divine adoperando? E, tanto di letizia e di piacer prendono, quanto di tristizia e di miseria sentono in cui hanno in odio.

«Tu, dunque, piangendo, attristandoti, rammaricandoti, sommo piacere fai a questa tua nimica. E chi sono quelli, se non i bestiali, che a’ loro nirnici di piacere si dilettino? Se ella né t’ama né t’ha in odio, né di te poco né molto cura, a che sono utili queste lagrime, questi sospiri, questi dolori cosí cocenti? Tanto t’è per lei prenderli, quanto se per una delle tue travi della camera li prendessi. Perché dunque t’affliggi? Perché la morte desideri? La quale ella medesima tua nimica, secondo che tu estimi, non cercò di darti? E non mostra che tu abbi ancora sentito quanto di dolcezza nella vita sia, quando cosí leggermente di tòrti di quella appetisci; né ben considerato quanto piú d’amaritudine sia negli etterni guai che in quelli del tuo folle amore; li quali tanti e tali ti vengono, quanti e quali tu stesso te li procacci; ed ètti possibile, volendo essere uomo, di cacciarli; il che degli etterni non avverrebbe.

«Leva adunque via, anzi discaccia del tutto, questo tuo appetito; né volere ad una ora te privare di quello che non acquistasti ed eterno supplicio guadagnare, e, a chi ti vuole male, sommamente piacere; siati cara la vita e quella, quanto puoi il piú, t’ingegna di prolungare. Chi sa se tu ancora, vivendo, potrai veder cosa di costei, di cui tu tanto gravato ti tieni, che sommamente ti fará lieto? Niuno. Ma certissimo può essere a tutti che ogni speranza di vendetta, od altra letizia di cosa che qua rimanga, fugge, nel morire, a ciascuno. Vivi adunque; e come costei, contr’a te malvagiamente operando, s’ingegna di darti dolente vita e cagione di desiderare la morte, cosí tu, vivendo, trista la fa’ della tua vita.»

Maravigliosa cosa è quella della divina consolazione nelle mente de’ mortali: questo pensiero, si coni’io arbitro, dal