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discendenti; e in queste parole alquanto capta la benivolenza di messer Farinata, accioché piú benivolmente gli sodisfaccia di quello di che intende di domandarlo: «Prega’io lui, —soletemi quel nodo», cioè quel dubbio, «Che qui ha inviluppata mia sentenza», cioè il mio giudicio, in tanto che io non ne posso veder quello che io disidero. «E 1 par che voi», cioè anime dannate, «veggi ate, se ben odo» quello che voi m’avete detto, e comprendo quello di che messer Cavalcante mi domandò; veggiate «Dinanzi», cioè preveggiate, «quel che ’l tempo seco adduce», nel futuro, «E nel presente», tempo, «tenete altro modo», — in quanto non par che cognosciate né veggiate le cose presenti. E questo dice, percioché messer Farinata gli avea detto che, avanti che quattro anni fossero, egli sarebbe cacciato di Firenze, in che si dimostra loro veder le cose future; e messer Cavalcante l’avea domandato se il figliuolo vivea, in che si dimostra che essi non conoscono le cose presenti. E messer Farinata gli risponde: — «Noi veggiam come quei c’ ha mala luce, Le cose, — disse, — che ne son lontano». Suole questo vizio avvenire agli uomini quando vengono invecchiando, per omori li quali vengon dal cerebro, ed essendo nell’occhio, per la vicinanza loro alla virtú visiva, alquanto l’occupano intorno alla vista delle cose propinque; ma, come la virtú visiva si stende piú avanti, e lontanasi daH’adombrazion dell’omore, tanto men mal vede, e con piú sinceritá riceve le forme obiette. Cosi adunque i dannati, offuscati dalla propinquitá della caligine infernale, non posson le cose propinque vedere; ma, ficcando con la meditazione l’acume dello ’ntelletto per le cose superiori, veggion le piú lontane. E come queste possan vedere o no, quello che per Tullio se ne tiene è dimostrato nel precedente canto, dove l’autore induce Ciacco a predire quello che esser deve della «cittá partita». E séguita: «Cotanto», quanto odi, «ancor ne splende», cioè presta di luce, «il sommo Duce», cioè Iddio, senza la grazia del quale alcuna cosa non si può fare. «Quando s’appressan», le cose future, «n’è del tutto vano Nostro intelletto», in quanto niuna cosa ne conosciamo; «e s’altri», o demonio o anima che tra noi discenda, «non