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prima gli dice in generale chi essi sono, poi discende a nominarne alcuno in particulare, e dice: «In somma», cioè su brevitá, «sappi che tutti fur cherci, E letterati grandi e di gran fama, D’un peccato medesmo», cioè di sogdomia, «al mondo lerci», cioè brutti.

Pare adunque, per queste parole, i cherici e gli scienziati esser maculati di questo male. Il che puote avvenire l’aver piú destro, e con minor biasimo, del mescolarsi in questa bruttura col sesso mascolino che col femminino, [conciosiacosaché l’usanza de’ giovani non paia disdicevole a qualunque onesto uomo, ove quella delle femmine è abominevole molto]; e, per questo comodo, questi cosi fatti uomini, cherici e letterati, piú in quel peccato caggiono che per altro appetito non farebbono. «Priscian sen va con quella turba grama», cioè dolente. Fu Prisciano della cittá di Cesarea di Cappadocia, secondo che ad alcuni piace, e grandissimo filosafo e sommo grammatico, il quale, venuto a dimorare a Roma, ad istanzia di Giuliano apostata compose in grammatica due notabili libri: nell’uno trattò diffusamente e bene Delle parti dell’orazione, nell’altro sub brevitá trattò Delle costruzioni. Non lessi mai né udi’ che esso di tal peccato fosse peccatore, ma io estimo abbia qui voluto porre lui, accioché per lui s’intendano coloro li quali la sua dottrina insegnano; del qual male la maggior parte si crede che sia maculata, percioché il piú hanno gli scolari giovani, e per l’etá temorosi e ubbidienti, cosi a’ disonesti come agli onesti comandamenti de’lor maestri; e per questo comodo si crede che spesse volte incappino in questa colpa. «E Francesco d’Accorso anche vedervi», tra loro avresti potuto, «S’avessi avuto di tal tigna brama», cioè disiderio. Messer Francesco fu figliuolo di messer Accorso, amenduni fiorentini, e amenduni grandissimi e famosi dottori in legge, in tanto che messer Accorso chiosò tutto’l Corpo di ragion civile, e furon le sue chiose tanto accette, che elle si posono e sono e ancora s’usano per chiose ordinarie nel Codice e negli altri libri legali. E questo messer Francesco, mentre visse, sempre lesse ordinariamente in Bologna, dove si crede che ultimamente morisse.