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E, percioché nelle corti de’ gran prencipi han sempre di quegli che sono messi avanti, o degni o non degni che sieno, e di quegli ancora che sono lasciati addietro; e questo vizio non è altro che una passione ricevuta per l’altrui felicitá, senza offesa di colui che la passion riceve; par di necessitá le corti doverne esser piene, e tanto piú quanto maggior sono. Per la qual cosa meritamente dice l’autore questa meretrice non aver mai «torti gli occhi», cioè vólti in altra parte, dall’ospizio dello ’mperadore, e lei esser vizio e morte comune delle corti. Adunque con cosi fatto nemico ebbe il maestro Piero a fare, si come qui nel testo si dimostra, dove dice l’autore: «La meretrice», cioè la’nvidia, «che mai dall’ospizio Di Cesare non torse gli occhi putti», cioè malvagi e disleali; «Morte comune», d’ogni uomo, cioè vizio deducente a morte, «e delle corti vizio; Infiammò contro a me», cioè accese, «gli animi tutti», de’ cortigiani; «E gl’infiammati infiammár si Augusto», cioè lo’mperador Federigo, «Che i lieti onor», posseduti per lo glorioso oficio, «tornáro in tristi lutti», in quanto esso fu privato della grazia dello ’mperadore e dell’uficio e del vedere, e cacciato via. «L’animo mio, per disdegnoso gusto», il quale, come di sopra è mostrato, fu tanto che il fece in furia divenire, e, «Credendo col morir fuggire sdegno», cioè non essere reputato degno d’avere ricevuta la repulsa dello ’mperadore; «Ingiusto fece me», tanto che egli ne meritò esser dannato a quella pena, «contra me giusto»: volendo per avventura in queste parole intendere che, dove egli stimò, uccidendosi, mostrare la sua innocenza, avvenne che molti opinarono lui non averlo per ciò fatto, ma averlo fatto sospinto dalla coscienza, la quale il rimordea del fallo commesso. E però, a purgare questo intendimento, séguita: «Per le nuove radici»; chiamale «nuove», percioché non molto tempo davanti ucciso s’era, e in quel luogo convertito in pianta, «d’esto legno», nel quale voi mi vedete trasformato, «Vi giuro che giammai non ruppi fede Al mio signor, che fu d’onor si degno». E poi, parendogli con questo giuramento aver certificati della sua innocenza, segue: «E, se di voi alcun nel mondo riede, Conforti la memoria